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L'ARLECCHINO D'ORO
ARLECCHINO SIGNORE DI DUE REGNI: LA COMMEDIA DELL'ARTE, E IL TEATRO MODERNO di Roberto Tessari (Università di Torino)

Ferruccio Soleri
Ferruccio Soleri assume ufficialmente per la prima volta la maschera e l’abito multicolore di Arlecchino nel 1960, a Broadway, durante la tournée americana che sancisce il trionfo internazionale del Servitore di due padroni. Se restiamo alla superficie della storia, potremmo anche ascrivere il fatto a mere necessità contingenti: la legislazione teatrale degli Stati Uniti, infatti, prevede che l’attore principale di qualsiasi compagnia venga rimpiazzato nel ruolo – una volta la settimana – dal suo sostituto, e anche il prestigioso ensemble guidato da Strehler dovette allora prestare ossequio a questa regola. Ma, a ben vedere, ogni autentica ‘occasione’ nasce - in arte - solo sul terreno del più rigoroso e duro tirocinio: come quello, appunto, che aveva portato il giovane Soleri (entrato a far parte della fortunatissima produzione del Piccolo nel 1959, per figurarvi come “un cameriere che non parla”) a essere individuato quale allievo d’elezione da Marcello Moretti, che lo iniziò allo studio sistematico della maschera, e che – già prima di Broadway – lo aveva messo alla prova come proprio ‘sostituto’ in alcune repliche dello spettacolo. Del resto, un’occasione tanto preparata può anche assumere l’aspetto d’un destino, ove si pensi che Moretti, pochi anni prima, era stato spettatore alla prova generale di quel saggio degli allievi dell’Accademia d’Arte Drammatica romana (La figlia obbediente di Goldoni) dove Soleri, pervenuto al terzo anno di corso, figurava proprio nei panni di Arlecchino: essendosi deciso a indossarli, dopo non scarse né poco motivate resistenze, per le pressioni del suo maestro Orazio Costa…

Un Arlecchino predestinato e insieme riluttante, dunque. E non solo in quanto estremamente consapevole delle barriere culturali e linguistiche tra la propria toscanità e l’irriducibile dimensione della Venezia goldoniana (fu Gastone Moschin, per La figlia obbediente, a confortarne l’approccio all’idioma lagunare), bensì soprattutto perché saldamente ancorato a una prospettiva di attorialità affatto moderna: ovvero quantomai remota – sia a livello di concezioni compositive della messinscena, sia sul piano dei rapporti tra interprete e personaggio – da quelle che avevano distinto la lunga storia dei comici dell’Arte e dei loro epigoni. Non a caso Ferruccio Soleri, dopo essersi formato all’Accademia, recita sino al 1963 - al Teatro del Convegno di Enzo Guerrieri e al Piccolo – in un repertorio novecentesco il cui respiro si apre tra la pirandelliana Favola del figlio cambiato (1956), lo steinbeckiano Uomini e topi (1959) e L’anitra selvatica di Ibsen (1962). Né sarà un caso se, pur non cessando di dar vita a personaggi della drammaturgia classica e di quella contemporanea, intraprende, a partire dal 1972, un’attività registica costellata di prove significative vuoi nell’ambito della prosa (tra le altre: Re Corvo di Gozzi; La locandiera, I due gemelli veneziani, La castalda e Il ventaglio di Goldoni; La Mandragora di Machiavelli) vuoi nel settore dell’opera lirica (Don Pasquale di Donizetti; Il Barbiere di Siviglia, L’Italiana in Algeri, Il signor Bruschino, Il Turco in Italia di Rossini; La traviata di Verdi; Duello comico di Paisiello; Livietta e Tracollo di Pergolesi; Il ratto del serraglio e La finta giardiniera di Mozart; Notte a Venezia di Strauss; La vedova allegra di Lehar; ecc.).

Sarebbe, insomma, perlomeno fuorviante non voler vedere come, sotto la maschera di Arlecchino – qui – si celi il volto d’un attore pronto anche ad assumere, per non citare che un esempio, il sembiante di Puck nel Sogno d’una notte di mezza estate, e di un regista impegnatosi a rivisitare criticamente i percorsi della commedia italiana tra Cinque e Settecento (nonché a confrontarsi, tra l’altro, con le complesse grazie musicali dei grandi maestri settecenteschi e ottocenteschi dell’opera buffa e del melodramma). Non si tratta di uno sfondo, ma di un contesto. Ed è, appunto, entro un simile contesto che va collocato l’incontro ‘fatale’ tra Soleri e l’icona-emblema dell’antica Commedia dell’Arte. Marcello Moretti muore nel 1961. Il 10 luglio 1963 – nel Teatro di Villa Litta ad Affori – la ripresa del Servitore di due padroni voluta da Strehler ha per protagonista colui che un tempo ne era stato il ‘cameriere silenzioso’. Come nel vecchio microcosmo dei comici, un Arlecchino affida idealmente il testimone dell’eterna staffetta a un altro Arlecchino: quello che lui stesso ha contribuito ad individuare, e ad iniziare ai segreti artigianali della parte. Da quel giorno, Ferruccio Soleri viene unanimemente riconosciuto non già in quanto ‘sostituto’ elettivo dell’indimenticabile Moretti, bensì quale individualissimo ri-creatore della maschera. E’, ancora una volta, il rinnovarsi del mito: più di duemila repliche in Italia e nel mondo, sino all’ultima edizione – la nona! - curata da Strehler nel 1997.

Soleri stesso, in una intervista del 1991, ricorda come – al tempo del suo apprendistato – Moretti si rifiutasse pervicacemente di svelargli i ‘trucchi del mestiere’ da lui adottati, nel Servitore, per la famosa ‘scena del baule’: un lazzo che vede Arlecchino emergere a sorpresa travestito da una cesta chiusa. Il maestro non desiderava dall’allievo una copia: voleva spingerlo a ricreare da sé, originalmente, quella gag. Aveva di certo intuito che la sostanza mercuriale del giovane Soleri (l’agilità acrobatica e il senso musicale del ritmo, a lui derivati da una intensa attività sportiva) costituiva la materia prima indispensabile ad animare di vita nuova le qualità di fondo d’un Arlecchino. Ma, forse, ancora non poteva sapere come il formatore della nuova maschera avrebbe saputo contemperare quella ‘sostanza’ con una dote in apparenza contraddittoria: la meditabonda consapevolezza storico-critica tipica d’un attore moderno, attento ad approfondire anche (se non soprattutto) lo studio dei documenti relativi alle più minute teknai escogitate dai suoi predecessori prossimi e remoti per sostenere la parte.

In effetti, se il testo di Goldoni rielaborato e allestito da Strehler a partire dal 1947 può essere considerato, tra l’altro, il miglior contributo italiano a quella riscoperta internazionale della Commedia dell’Arte che (attraverso Craig, Mejerhol’d, Vachtangov, Copeau, ecc.) ha inteso restituire al teatro del Novecento tutta la forza espressiva d’una scenicità di alta convenzione simbologica, Soleri ha lasciato un indelebile segno forte sulle lunghe e fortunate vicende del Servitore di due padroni, ripercorrendo e rivivendo da par suo – sul versante del lavoro d’attore – le ragioni essenziali e le finalità ultime che avevano guidato il regista nel suo percorso di attraversamento critico della perduta dimensione dei recitanti all’improvviso. Il nuovo Arlecchino è cresciuto nel tempo: ognora supportato, sì, dall’incredibile verve fisica e dal tagliente-scontroso garbo ironico del suo interprete, ma anche rimeditato senza posa – attraverso un inesausto processo d’alternanza tra piena partecipazione e rigoroso distacco - da una coscienza riflessa sempre impegnata nella ricerca e nello studio delle fonti documentarie, iconografiche e letterarie atte a testimoniare concretamente sulle mutazioni subite dalla maschera nel corso del tempo, sulle teknai adottate dai suoi interpreti successivi per attribuirle voce e movimento, sugli stilemi mimici escogitati e fissati onde formulare la sua paratassi corporea.

E’ appunto attraverso un simile studio (mai disgiungibile, come dovrebbe risultare ovvio, dal suo sofferto tradursi in prassi performativa) che Soleri è pervenuto a qualificarsi ancora come altissimo esperto delle convenzioni rappresentative dei comici dell’Arte. E, qui, occorre far menzione non solo dei moltissimi laboratori da lui guidati in Italia e nel mondo, ma soprattutto della sua attività di pedagogo presso le più importanti scuole di teatro internazionali: da quella del Piccolo milanese alla Otto Falckenberg Schule di Monaco di Baviera; dalla Mudra belga di Béjart alla Santa Clara University statunitense, al viennese Max Reinhardt Seminar. Né andrebbero dimenticate, continuando a considerar le cose da questa prospettiva, le fortunate prove offerte dall’attore in qualità di dramaturg d’un rimeditato repertorio ‘arlecchinesco’: Arlecchino, l’amore e la fame (collage di testi composto in collaborazione con Luigi Ferrante nel 1969); Arlecchino e gli altri (scritto in collaborazione con Luigi Lunari nel 1980); Ritratti della commedia dell’arte (1995).

Arlecchino signore della scena. Arlecchino regista. Arlecchino studioso di materiali d’archivio. Arlecchino maestro di teatro. Arlecchino autore… Soleri, pur evitando con tacita ritrosia di far coincidere a pieno il suo profilo di uomo-artista con quello della mitica icona popolaresca del secondo Zanni dall’abito fatto a “recamo di concertate pezzette”, ha traghettato l’antica maschera un tempo trasferita sulle scene dal genio di Tristano Martinelli oltre le Colonne d’Ercole del Duemila, dopo averla riplasmata e illustrata negli ultimi quattro decenni del Novecento. Ha immesso nella sua silhouette tutte le competenze specialistiche d’un grande attore italiano nato e vissuto nel teatro di regia, e dotato d’una consapevolezza critica e d’una visione estetica superlativamente adeguate all’altezza dei tempi. Ha studiato le tracce residue del suo passato, per ridefinirne i contorni attraverso tutti quei contributi che solo da diverse angolazioni prospettiche potevano essere recuperati. Ma non lo ha, di certo, fatto a freddo: come i migliori tra gli antichi comici, si è servito dei risultati delle proprie ricerche – non diversamente da quanto ha sempre fatto con l’allenamento fisico, e con gli esercizi di concentrazione e di meditazione che hanno costituito e costituiscono la ‘faccia nascosta’ delle sue performances – fondendoli quali materiali della più rigorosa e difficile alchimia sul crogiolo scaldato dal fuoco di un quid misterico: il corpo materialmente mercuriale e l’anima fantasticamente corporale d’un Arlecchino per grazia e vocazione.


Premio de L'Arlecchino d'oro 2001
 Edizioni de L'Arlecchino d'Oro
2005: Presentazione, Spettacoli, Approfondimenti  
2004: Presentazione, Premio, Spettacoli 2003: Presentazione, Premio, Spettacoli, Stampa
2002: Contributo 2001: Presentazione, Premio, Spettacoli, Stampa
2000: Presentazione, Premio, Spettacoli 1999: Presentazione, Premio, Spettacoli

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