TRISTANO MARTINELLI (1557 - 1630)
Il mantovano che creò Arlecchino
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Tristano Martinelli
"Arlecchineria"
Compositions de Rhétorique,
1601 circa |
Tristano Martinelli nacque a Marcaria (Mantova) il 7 aprile 1557 e morì a Mantova il
1° marzo 1630.
Trascorse la giovinezza al seguito del fratello Drusiano facendo l'acrobata e recitando nelle parti comiche
nelle Fiandre nel 1576 e a Londra nel 1578. Sempre con il fratello e con la moglie di lui, Angelica, dette vita
a una compagnia che ottenne la protezione e il riconoscimento ufficiale da parte del duca Vincenzo Gonzaga.
Nella stagione teatrale 1584-85, nei teatri a pagamento di Parigi, recitò forse per la prima volta la parte di
Arlecchino. Fino a quel momento gli zanni bergamaschi erano stati, insieme alle donne in amore e ai vecchi veneziani,
i protagonisti della Commedia dell'Arte. Tristano adattò il suo personaggio al gusto del pubblico parigino, si
ribattezzò con un nome proveniente dalle antiche favole popolari francesi, macchiò il vestito grigio dello zanni
con i colori luminosi dei buffoni medioevali, da animale si trasformò in diavoletto. Era nato Arlecchino.
E fu un successo immediato.
Al suo ritorno a Mantova i Gonzaga gli conferirono il controllo dei comici di piazza,
venditori ambulanti e ciarlatani. Dall'estate 1600 alla primavera 1601 Tristano venne scritturato, come capocomico
e attrazione speciale, per le nozze di Maria dei Medici e Enrico IV di Francia. Allora pubblicò la sua unica
opera a stampa, composta soprattutto da pagine bianche, qualche xilografia, poco testo, intitolata burlescamente
"Compositions de Rhétorique", in polemica con gli altri attori che per farsi amare e premiare dai potenti si
travestivano da scrittori e pubblicavano libri.
Il secondo matrimonio con una giovane veronese, da cui ebbe sette figli, risvegliò l'iniziativa teatrale di Arlecchino.
Mantova fu tra il 1610 e il 1630 la capitale della Commedia dell'Arte e Parigi lo chiamò ancora due volte,
nel 1613-14 e nel 1620-21.
One-man-show, fu acrobata e cascatore ineguagliato ancora all'età di sessantaquattro anni.
Quando morì di "febre et cataro in due giorni", lasciò una bella eredità materiale: un podere a Castelbelforte,
un mulino a Bigarello, un deposito di ducatoni nel Monte di Pietà di Firenze, pietre, sete e tessuti preziosi,
collane d'oro. Ma maggiore fu la nostalgia che lasciò di sé come maschera inafferrabile.
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